A circa 190 chilometri a sud di Skopje si trova Radomir, un paese che sembra sospeso nel tempo. Qui il cemento non ha la prepotenza del brutalismo urbano, ma si mescola con una semplicità quasi rurale, dove la vita scorre lenta. Le strade strette, i tetti in lamiera e i dettagli consumati dagli anni raccontano storie di una quotidianità che si aggrappa a un passato che sembra non voler cedere il passo al presente. Ho scattato una foto di Radomir durante il mio viaggio verso Skopje: un cielo carico di nuvole incombeva sugli edifici, riflettendo un’atmosfera malinconica ma profondamente autentica. Era un preludio perfetto a quello che mi attendeva più avanti.

Proseguendo il viaggio verso Skopje, ci si imbatte in un luogo non ben definito, un piccolo angolo del mondo che sembra esistere al di fuori delle mappe. Non è un paesino, ma un agglomerato di baracche in legno di recupero con tetti in lamiera, disposte lungo le rive di un fiume che scorre carico di immondizia. Le pecore brucano tra i rifiuti, mentre cani Kangal osservano silenziosi da una distanza prudente. La scena è crudele e surreale allo stesso tempo, un ritratto di una vita vissuta ai margini, dove la natura e l’uomo sembrano contendersi un territorio segnato dalla decadenza.

Ho rallentato l’auto per osservare meglio: c’è qualcosa di incredibilmente stridente in questo isolamento. La modernità è solo un eco lontano, mentre la realtà si impone con la sua presenza indomabile.

Questi due luoghi, così diversi eppure così vicini, raccontano molto della strada verso Skopje. Da Radomir al fiume senza nome, ogni dettaglio sembra preparare il visitatore all’impatto visivo e concettuale del brutalismo che domina la capitale macedone. La transizione è graduale, quasi impercettibile: dal rurale al post-moderno, dall’umano al monumentale. E proprio questa contrapposizione, tra l’intimo e il mastodontico, rappresenta l’essenza del viaggio verso Skopje.
Skopje è una città che non si dimentica facilmente. Distrutta quasi completamente dal terremoto del 1963, la capitale macedone è stata ricostruita seguendo una visione moderna e ambiziosa, guidata dal celebre architetto giapponese Kenzo Tange. Il suo piano urbanistico ha dato vita a una città dove il brutalismo è più di uno stile architettonico: è un simbolo di resilienza, di un futuro ricostruito dalle macerie. Edifici monumentali come la Posta Centrale o il Museo di Arte Contemporanea si ergono come testimoni di un’epoca di grandi speranze, dove il cemento è diventato un linguaggio visivo per esprimere forza e modernità.

Arrivare a Skopje è stato come entrare in un altro mondo. Mentre attraversavo il ponte di pietra che collega la parte antica della città a quella moderna, mi sono sentito sopraffatto dalla dualità che definisce questo luogo. Da una parte, il caos ordinato del vecchio bazar, con i suoi vicoli stretti e le vetrine che traboccano di spezie e artigianato. Dall’altra, le geometrie spigolose e imponenti degli edifici brutalisti, che sembrano sfidare il cielo. Ricordo di essermi fermato di fronte alla Posta Centrale, con il suo design quasi futuristico e le superfici che riflettono la luce in modi inaspettati. Era come se ogni angolo della città volesse raccontare una storia diversa, e io non potevo fare altro che ascoltare.
A differenza di molte ex Repubbliche Socialiste, che a partire dagli anni '50 sotto la guida di Nikita Krusciov avviarono la costruzione di giganteschi edifici rettangolari in cemento armato per rispondere a una crescente domanda abitativa, Skopje deve il suo volto brutalista a una storia diversa e drammatica. Nel luglio del 1963, un violento terremoto devastò l’80% della città, lasciando la capitale macedone in macerie. Fu un momento di svolta, non solo per la popolazione locale, ma anche per l’architettura della regione.

La ricostruzione di Skopje divenne un progetto internazionale, con il coinvolgimento di rinomati architetti di tutto il mondo. Tra questi, spicca Kenzo Tange, il celebre architetto giapponese noto per la sua visione futuristica e strutturale.
Durante gli anni '60, il brutalismo era lo stile dominante per i progetti di ricostruzione urbana: pratico, economico e fortemente simbolico. A Skopje nacquero edifici che sembravano usciti da un film di fantascienza. Tra i più iconici ci sono la Posta Centrale e il Museo di Arte Contemporanea, che non solo incarnano l’essenza del brutalismo, ma raccontano anche la resilienza di una città che ha saputo rinascere dalle sue ceneri. Ma ecco un dettaglio curioso: la Posta Centrale di Skopje, con le sue forme audaci e futuristiche, ospita al suo interno mosaici e decorazioni che richiamano un mix di modernità e tradizione balcanica, un contrasto che lascia i visitatori a bocca aperta.

Il termine "brutalismo" stesso ha una storia affascinante. Deriva dal francese "béton brut", che significa cemento grezzo, e fu reso popolare dal critico d'arte britannico Reyner Banham. Questo stile si concentrava su forme imponenti e materiali industriali, spesso lasciati allo stato naturale, senza abbellimenti. Curiosamente, uno degli esempi più celebri di utilizzo del cemento grezzo è l'Unité d’Habitation di Le Corbusier a Marsiglia, completata nel 1952. Questo edificio non è solo un'icona del brutalismo, ma anche una sorta di microcittà verticale, con spazi abitativi, negozi e persino una scuola, tutto racchiuso in un unico blocco massiccio.


Gli edifici brutalisti di Skopje hanno un aspetto che non lascia indifferenti: massicci, monolitici, quasi alieni nel loro impatto visivo. Le linee geometriche rigide e l'uso estensivo del cemento li rendono tanto affascinanti quanto controversi. Un fatto interessante è che questi edifici, spesso definiti "mostruosi" per il loro colore cupo e l'aspetto spigoloso, stanno vivendo una sorta di rinascita culturale. Molti fotografi e artisti si sono innamorati della loro estetica unica, trasformandoli in soggetti di progetti creativi. Eppure, per i residenti, questi edifici evocano sentimenti contrastanti: da un lato sono simboli di una storia di sopravvivenza, dall'altro, rappresentano una memoria visiva ingombrante.

Piazza Macedonia, il cuore pulsante di Skopje, è una tappa obbligatoria per chi visita la città. Questo vasto spazio pedonale, circondato da edifici moderni e storici, è dominato dalla gigantesca statua di Alessandro Magno, ufficialmente intitolata "Guerriero a Cavallo". Alta oltre 20 metri, questa imponente opera in bronzo rappresenta il leggendario condottiero macedone montato sul suo destriero, con una posa che evoca forza e dinamismo. La statua è collocata su un piedistallo circolare decorato con rilievi che narrano episodi della sua vita, e circondata da una fontana che di sera si illumina con giochi di luci e acqua, creando uno spettacolo visivo che attira sia turisti che abitanti del luogo.
Ma Piazza Macedonia non è solo la statua: è un luogo dove storia e modernità si incontrano. Qui si trovano anche la Porta di Macedonia, un arco di trionfo moderno decorato con rilievi che celebrano la storia del paese, e il ponte di Pietra, che collega la piazza alla parte vecchia della città. Questo ponte, costruito nel XV secolo, è un simbolo storico e architettonico di Skopje, unendo le due anime della città: la modernità della parte nuova e il fascino autentico della città vecchia.

Un dettaglio interessante è che la statua di Alessandro Magno è stata al centro di controversie internazionali. La sua costruzione è stata interpretata dalla Grecia come un tentativo di rivendicare l’eredità storica macedone, alimentando le tensioni tra i due paesi. Nonostante ciò, oggi è una delle attrazioni più fotografate di Skopje.

Piazza Macedonia funge da punto di incontro e socializzazione, ma presenta un sorprendente contrasto architettonico. Da un lato, la grandiosa statua di Alessandro Magno e la Porta di Macedonia simboleggiano una monumentalità storica; dall’altro, il moderno Hotel Marriott, con la sua facciata lucida e design contemporaneo, introduce un’opulenza internazionale che sembra voler competere con l’eredità storica della piazza. Nei dintorni si trovano caffetterie, ristoranti e negozi, offrendo opportunità per pause o acquisti di souvenir, completando così l’esperienza di un luogo che armonizza tradizione e modernità in un equilibrio audace e affascinante. Durante l’anno, la piazza è sede di eventi culturali, concerti e celebrazioni pubbliche, rendendola un centro dinamico della vita cittadina. È quindi un ottimo punto di partenza per esplorare Skopje e immergersi nella sua cultura unica.

La maestosità di Skopje, esemplificata dalla sua architettura brutalista, si distingue nettamente rispetto ad altre città che condividono questo stile. Mentre molte metropoli, come Mosca o Bucarest, presentano edifici brutalisti che riflettono una visione uniforme e spesso austera del socialismo, Skopje offre un panorama architettonico unico, frutto della sua ricostruzione post-terremoto del 1963. In confronto, città come Berlino o Londra presentano esempi di brutalismo che, sebbene imponenti, sono spesso integrati in contesti urbani più variegati e complessi. A Berlino, per esempio, il brutalismo coesiste con l’architettura storica e contemporanea, creando una narrazione architettonica più stratificata. A Londra, edifici come il Barbican Centre mostrano un approccio più estetico e funzionale al brutalismo. Skopje, d’altra parte, con la sua concentrazione di edifici brutalisti e la loro interazione con monumenti storici e moderni, offre una visione più coesa e audace del potere dell’architettura nel plasmare l’identità urbana. La maestosità degli edifici di Skopje non è solo visiva; è intrisa di significato storico e culturale, rendendo la città un caso studio affascinante nel panorama dell’architettura brutalista globale.
A questo punto ci aggiorniamo da Bucarest o da Mosca tra qualche mese, per mettere un punto al brutalismo. Oppure una virgola!
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