Non scrivevo da marzo, mi sono perso ovunque. Ritorno a scrivere un paio di cose con una storia che risale ad ottobre 2022. Ci sono cose che si trascinano per anni senza motivo, ad un certo punto bisogna fermarsi e lasciarle passare.
Mi ricordo di aver preso due voli diretti per Sofia, non ero mai stato in Bulgaria. Con la canzone di Battiato che mi gira mille volte nella mente, non appena atterrato prendo un taxi ed entro diretto nella maestosa Cattedrale di Aleksandr Nevskij. Le cupole dorate della Cattedrale di Aleksandr Nevskij scintillano sotto il sole, come se riflettessero il mistero e la devozione che avvolgono ogni angolo al suo interno. Una volta varcata la soglia, il frastuono esterno svanisce, sostituito da un’atmosfera di silenzio profondo.
Le persone si muovono con calma, accendendo lumini davanti a piccoli altari, ciascuno ornato da una quantità sorprendente di foto tessera dei loro cari defunti. Non è una scena che mi aspettavo di trovare, ed è anche un po’ insolito. Di solito, nelle chiese, ci si aspetta grandi ritratti o candele dedicate, ma qui ogni foto è piccola, intima, come se quei volti ti guardassero ancora da vicino, stretti nella memoria di chi li ha amati. Funziona, in qualche modo. C’è una semplicità che amplifica il legame: un filo invisibile che collega i vivi e i morti, un delicato ponte tra i due mondi, illuminato da una fragile fiamma.
L’incenso riempie l’aria, mescolandosi con le preghiere sussurrate, che fluttuano insieme alle spirali di fumo. L’atmosfera è densa, carica di fede, ma anche di una memoria tangibile, fatta di volti e storie che si raccontano attraverso quelle piccole foto tessera. È come se, in quel momento, il sacro e l’umano fossero un tutt’uno, sospesi nel tempo e nello spazio.
Dopo aver trascorso una sola notte a Sofia maledicendomi per non aver portato con me altre fotocamere e ottiche "che avrei sicuramente usato" (la storia che i fotografi si raccontano spesso), decido di prendere un auto e guidare per 400km. Volevo solamente farmi un'idea della Romania: destinazione: Bucarest!
Dal Sacro al Profano: i mercatini, una Beretta e… un Uovo Fabergé?!
Passeggiando tra le bancarelle di Obor, a Bucarest, la solennità della cattedrale sembra un ricordo lontano. Qui il sacro è sostituito dal profano, e non mi ci vuole molto per capire che in questo mercato si può trovare davvero di tutto. E quando dico di tutto, intendo davvero di tutto.
Tra gli oggetti in vendita, spunta una Beretta, sì, proprio una pistola, esposta come se fosse un soprammobile un po’ esotico. Al mio sguardo sorpreso, il venditore mi sorride come a dire: “Eh, la vuoi o no?”. Non ho potuto fare a meno di pensare che forse a questo mercatino potresti trovare anche altri oggetti meno appariscenti di una pistola, magari cercando meglio!
Ma la Beretta non è l’unica curiosità. Oh no, il mercatino di Obor è un vero tesoro di assurdità! Tra i banchi trovo orologi da polso sovietici, quelli che probabilmente hanno accompagnato qualche generale durante la Guerra Fredda.
Poi ci sono collane e pendagli di una finitura talmente pregiata che, per un momento, mi sono chiesto se non mi fossi imbattuto in un gioielliere sotto mentite spoglie.
E se ciò non bastasse, i miei occhi cadono su un oggetto che sembra uscito da un catalogo d’arte: un uovo Fabergé (che il venditore non mi ha dato il permesso di fotografare). Sì, uno di quegli sfarzosi gioielli imperiali russi, magari persino uno di quelli scomparsi!
Le uova Fabergé, create dal celebre gioielliere Peter Carl Fabergé tra il 1885 e il 1917, sono simboli di lusso e maestria artigianale, originariamente realizzati per gli zar di Russia. In totale, Fabergé e la sua bottega hanno creato 69 uova, delle quali 50 sono note come le “uova imperiali”, commissionate dagli zar Alessandro III e Nicola II per le loro famiglie.
Di queste 69 uova, oggi 57 sono state ritrovate e sono in possesso di collezionisti privati o musei. Tuttavia, 7 delle uova imperiali sono considerate perdute o scomparse. Queste uova sono state disperse nel caos della Rivoluzione Russa e della successiva vendita di tesori imperiali. Alcune potrebbero trovarsi in collezioni private non identificate, mentre altre potrebbero essere definitivamente scomparse.
Quindi, ci sono ancora 7 uova Fabergé scomparse, alimentando leggende e speranze di ritrovamenti spettacolari nei mercatini d’antiquariato o in soffitte polverose.
Obor: Il Tempio del Cibo a Prezzo di Contrattazione
Ma torniamo con i piedi per terra. Lontano dai Fabergé (veri o falsi che siano), il mercato di Obor è, prima di tutto, un luogo dove la gente si riunisce per fare il pieno di cibo. Le bancarelle sono cariche di carne e verdure fresche, e la vera arte qui non è la gioielleria, ma la contrattazione. Tra il profumo del pane fresco e il richiamo dei venditori che pubblicizzano i loro prodotti, il mercato si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia culinaria, dove chi riesce a ottenere uno sconto diventa quasi un eroe locale. E credetemi, a vedere alcune di queste signore negoziare, non posso che ammirare la loro maestria.
Qui, la sacralità si esprime in un modo tutto diverso: nel rito del cibo quotidiano, nelle scelte di chi deve sfamare la famiglia e trova nella contrattazione un atto quasi sacro, un modo per prendersi cura dei propri cari. E mentre guardo la fila per la carne aumentare, capisco che anche qui c’è un senso di fede: la fede nel risparmio, nell’arte di vivere con quello che si ha.
In Romania e Bulgaria, il sacro e il profano convivono, intrecciandosi in modo sorprendente. Dalla spiritualità profonda delle chiese alle curiose sorprese dei mercatini, fino alla semplicità dei mercati alimentari come Obor, ogni luogo ha una storia da raccontare. E in questo viaggio di 72 ore, mi sono ricordato che non c’è una linea netta tra ciò che è divino e ciò che è terreno: entrambi fanno parte dell’esperienza umana. Tra una Beretta e una candela, tra il prezzo della carne e quello della preghiera, il sacro e il profano si incontrano in un’unica straordinaria esperienza di vita.
Un anno dopo aver passato queste 72 ore stavo scrivendo l'articolo precedente, sono tornato a Sofia una seconda volta ma non sono ancora riuscito a comprenderla.
A presto, ci vediamo in Serbia!
Ben ritrovato!